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428 arnalda di roca

No. — Dai guanciali del serraglio un giorno,
Sotto le curve d’una sala, al mito
Raggio di pinti vetri illuminata,
Sonò una voce, che iraconda indisse
Lo sterminio di Cipro. E tu repente,
Come a tornèo, sovra il corsier balzavi;
E ben ti colse la vibrata freccia
Su quel funebre solco. E tal si giaccia
Ogni stranier che l’altrui patria affligge.

     Stendesi intorno a la città sfidata,
Come bianco ricinto a cimitero,
Una fascia di tende, a cui sinistre
Corruscan sui pinacoli le lune;
Nel mezzo volge il verdeggiante flutto,
Siccome onda lustrale ai combattenti
Il Predeo flessüoso.

                                      E pei zaffiri
Splende del ciel sui desolati campi
Col fatidico lume una cometa;
Come face, che un bieco angiolo rechi
Per vagheggiar giù ne la valle oscura
Le gesta ree de la ferocia umana.

     Buia mole, superba, taciturna
Son le case dei Roca. Una romita
Lampada, solo occhio di luce, veglia
Dentro una stanza, e tremolando sviene
All’affacciarsi de la prima prima
Alba che di Soría l’acque inargenta.
Presso una coltre candida una conca
Alabastrina d’oblïati e chini