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426 arnalda di roca

Un’arena pareva a cui d’intorno,
Quasi gradini d’un immenso circo,
S’inalzassero e i colli e le montagne,
Dove le nevicate ultime balze
Sembianza offrian di candidi velari.
Nel mezzo al piano ergea l’äeree croci,
Le cupole eminenti, il vedovato
Suo palagio di regi, e la scomposta
Zona dei baluardi sanguinosi
Nicósia estenuata, E d’ora in ora,
Quando sui merli de le mura il lungo
Grido iterava la mutata scólta,
Echeggiavati in cor, come l’estrema
Parola d’una gente moribonda,
Intorno i valli e per le fosse un truce
Spettacolo di laceri turbanti,
D’armi confuse e di squarciate membra
Di cavalieri e di cavalli estinti,
D’onde talora ti feriva il roco
Gemito d’un morente, e il desïoso
Crocidar d’una nuvola di corvi,
Accorsi in folla al funeral banchetto.

     Ahi! perchè mentre il mio canto repugna,
Ammalïata dal terror mi tenti,
Dell’arpa mesta la più mesta corda
O Musa luttüosa?

                               Un giovinetto,
Cui lo smeraldo del pugnal svelava
Cresciuto ai vezzi di dorata culla,
Sopra le ghiaie d’un torrente ardea
Strazïato da sete, e con l’intatto