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420 arnalda di roca

Che non è veglia e ancora non è sonno,
O nepote dei dogi, ài tu sentito
Romper la calma de le tue lagune
Triste un gemito e lungo? ài tu veduta
Vagolare una nebbia, e il negro panno
Radere de la gondola e vanire? —

     Quando la squilla de le torri annunzia
L’alba di un dì che una passata gloria
Di Venezia rammenti, o una sventura,
Da le tombe oblïate inclita sorge
Una folla di padri, i mari, e i campi
Rivisitando de le antiche pugne
Dolorosi o festivi.

                                     E questo è il giorno,
Che Cipro fu perduta, e una lucente
Perla divelta dal ducal diadema
Ingemmò la cruenta elsa al feroce
Sir di Bisanzio.

                               E, ier quando il silenzio
Più solenne regnava ne la notte,
E posavan le gondole fidate
A le catene del deserto lido,
Nè s’udiva echeggiar pur d’una pesta
Il pavimento de le mute calli,
Fu vista navigar per la profonda
Oscurità de’ tuoi canali un’aurea
Larva di Bucintoro. Eran sue vele
Lacerate bandiere. Eran suoi remi
Labarde irrugginite. Su la curva
Prora, un fantasma di lïon morente
Governava il fatal corso, con l’ala