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lettera a raffaele rubattino. 409

Fu il pensier de la vita unico, e il mondo
Nelle vacue città, nei popolati
Deserti altro non parve che un’immensa
Paurosa preghiera, ed un’immensa
Espïazion di non so qual peccato;
E ai lieti inni del Maggio, a le canore
Di Venere vigilie, ai ditirambi
Esultanti successero i dolenti
Salmi e le tetre fantasie delire
Del romito di Patmo, allor felice
Si disse l’uom, che giovinetto o annoso
Iva l’ossa a posar nel cimitero
Pentito e liberal verso il volpino
Sacerdote e di buone opere carco.

     E dentro all’urna, o Raffael, scendea
Ricca di generose opere Bianca,
Dal profondo tuo duol, dallo infinito
Pianto de’ poverelli accompagnata;
Nè a lei le Grazie facili, e l’arguto
Sentimento del Bello, e dell’ingegno
La vena di virile oro temprata
Valsero a ritardar la dipartita.
Ma forse che felice ella ne’ bui
Regni scendeva? — Un pauroso varco
Sempre è la morte.
                                   Era in sul verde ottobre
Degli anni, allor che un Sol tepido ancora
Qualche soave fior t’educa, tanto
Più profumato quanto più tardivo;
E i bollori languîr dell’agitato
Sangue e gli urti, però che la sudata
Esperïenza ti fruttò la calma.