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366 canto politico.

E in vero, quella folta
Di popolo redento
Nell’àmbito raccolta
D’insigne monumento,
Quegl’infiniti cor che batton tutti
Come un sol core, è uno spettacol degno
Dell’occhio del Signore. —
Ma chi son quegli arditi
Mezzo vestiti di color di fiamma
Che sbucan fuor da le marmoree valve,
Qual da battuto ferro arroventato
Schizzano le scintille?
La gente ondeggia per mirarli. Salve,
O Leon di Caprera: ei son lo illustri
Reliquie de’ tuoi Mille.
Vostra mercè, l’oppressa
Nobile plebe, al par del re, possiede,
La sua porpora anch’essa.
Forse è un presagio. Forse
Il cielo la destina
A diventar regina.
Or se un uccello valicasse il sommo
De la mole superba,
Tanto è gremita, non potria vedervi
Un picciolo fil d’erba
Da farsi il nido. E pur sotto le tende
De la loggia regale
Veggo uno scanno, ove nessun s’asside.
Chi l’oserebbe? Gl’Itali fèr voto
Solenne ne le loro
Libere feste di lasciarlo vuoto:
Però che quello è il loco ove dovrebbe
Sedere il Conte, l’immortale assente,