Avvi una dolce casa poveretta
Ove l’attende invano
Una madre soletta.
Da le torri eminenti
E d’in sui tetti perigliosi, a gruppi,
Pallidi cittadini
Con gli occhi intenti, i crini
Irti, coi pugni stretti,
Con anelanti petti
Assistono, guardando a la campagna,
A quel giuoco selvaggio, ove una patria
Si perde o si guadagna.
Ma ormai distinta io sento
Batter recata da non so qual vento
L’ora del Fato. Lo stranier nei cieli
È condannato. De’ suoi morti il piano
È coperto. Dell’Adige iracondo
Sui vorticosi flutti,
Avvezzi ai lutti, passano bandiere
Lacere ed aste e vestimenta e salme
Di fuggitivi che travolti al fondo
Ruotan sepolti ne la mobil sabbia
Con la lor rabbia. I liti
Suonan d’intorno ai tremoli nitriti
Dei cavalli feriti.
Qualche infelice invan con moribonda
Man disperata ai fragili s’appiglia
Salici de la sponda.
Altri affogando batte la funesta
Acqua con palma stanca, e in un supremo
Sforzo, come fa in mare
L’augel de la tempesta,
Erge la testa anche una volta e spare. —