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340 | note. |
di Bem salvate dalla rapina dei Cosacchi nella sconfitta di Segesvar.
Dopo alcune strofe, voltosi al Sire, esclama:
«Che il presente il quale ti degni concedere a noi, dal buon Dio ti sia reso più tardi: gli innocenti sono avvinti ai ceppi; che i ceppi si avvinghino a’ tuoi due polsi.
Possa il destino accordarti tutta la felicità che il tuo popolo ti desidera. Che i demoni visitino i tuoi sonni, maestà, re degli impiccati. Che il tuo letto sia un braciere: che il tuo cibo sia roso dai vermi: che la tua bevanda sia il sangue de’ martiri: che la tua scranna si muti in patibolo.
Che tu possa limosinare, come le migliaia de’ tapini che tu derubasti. Giacché tu non fosti mai re dell’Ungheria, bensì il suo ladro, il suo assassino.
E quando dopo una giusta punizione la tua anima alfine fuggirà dal tuo corpo, che il turbine sperda le tue ceneri; e invece d’una croce sulla tua tomba si levi una forca.»
Colle schiere di Bem, che lo tenea carissimo e lo nominò maggiore sul campo, Alessandro si trovò il 31 luglio del 49 alla battaglia di Segesvar in Transilvania: nulla ostante prodigi di valore, l’immensa differenza del numero fece prevalere il nemico di modo che la rotta fu intera. Il generale venne raccolto esanime in un campo di maitz; ma il giovine poeta che fino agli ultimi istanti s’era battuto al suo fianco, non si trovò fra i cadaveri riconosciuti: il suo nome non apparve sulle liste nè dei prigionieri, nè dei martiri: non lo si rivide più nè in terra d’esilio nè in patria.
In un istante di balda confidenza egli avea un giorno cantato:
«Senza timore affronto la battaglia, non ò punto a paventar delle palle: so che la sorte sta con me; so che non deggio morire; perchè io oda essere colui che, abbattuto il nimico, à da cantare, o libertà, il tuo immenso trionfo, celebrando i morti, il cui sangue ti avrà battezzata.»
Invece egli è sparito misteriosamente in mezzo al turbine nel fiore de’ suoi 25 anni: e invece ch’egli avesse a celebrar i suoi grandi, il verso d’un oscuro Italiano dovea cantar la sua lode.
Chiedete tuttavolta un Czico della Pustza, un agricoltore di Keskemet, un pastor Séclerò se Petöfi è morto: no, per Dio, no, vi rispondono: non è morto quel bravo figliuolo. È nascosto,’ laggiù, in qualche loco; ben nascosto fra gente fida. Venga l’ora della liberazione, e sùbito, all’indomani Petöfi sarà con noi.
E’ sarebbe quasi ora che tornasse.