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338 | note. |
(16) Il 6 ottobre 1849, ad Arad vennero dal Governo austriaco condannati a morte tredici valorosi tra generali e ufficiali dello stato maggiore ungherese. Quattro ottennero la grazia «della polvere e del piombo.» Gli altri sulle forche. Così finivano il vecchio Aulich, il giovine conte Leiningen, al quale fu perfino niegata una lettera della sua giovine sposa la contessa Liska; Török, Lahner, Pöltenberg, il toroso Damjanic, Nagi Sandor, Knezich, Vecsey ed altri. — Poche battaglie vi ànno nella storia che abbiano divorato tanti prodi generali quanto il mattino del 6 ottobre.
Le sono battaglie dell’Austria!
(17) Ò voluto toccare di questo magnanimo Ungherese per amore, direi quasi di famiglia. Infimo, come io sono, fra i poeti civili, mi è caro propagare la gloria degli altri che sono grandi. Petöfi Sandor (Alessandro) nacque nella Cumania coll’anno 1823, in mezzo alla sua landa, alla sua Pustza, che tanto amò e cantò. Suo padre facea l’oste e il macellaio: e forse il mestiere gli togliea di capire l’anima di suo figlio: ma ben la comprese la mesta tenerezza della madre. La sua giovinezza fu torbida e scontenta: scolaro indocile: compagno tumultuoso: gittò i libri, e buttossi al commediante: la quale arte gli procacciò pane scarso e amaro, e fischiate di molte. Corse la landa, mendico improvvido, cantando e bevendo, e nelle Czarde ospitali facendo brindisi ai vini focosi e alle focose ragazze della patria; fu poi giornalista, e soldato, ma poveretto sempre. La sua impresa stava in questi versi: «Due cose mi occorrono, libertà e amore. Per lo mio amore do la mia vita: per la libertà l’amore.» Un bel dì s’innamorò disperatamente d’una che vide morta: e celebrò, in canti intitolati Foglie di Cipresso, questa sua bionda Etelka. La qual passione per altro non gli tolse di metter fuori lo stesso anno 1815 le sue Perle d’amore ispirategli da ragazze tutt’altro che defunte. Lavorava infaticabile, e quasi presago che Dio gli aveva destinato poco tempo al lavoro. Scrisse poemetti e versi d’ogni sorta: fu il poeta popolarissimo e prediletto dell’Ungheria: cantò la steppa colle sue cicogne, i suoi zingani, i czikos, i banditi; cantò idilli, gioie domestiche, amori, e perfino le proprie nozze. Giacche l’8 settembre 1847 egli sposò Giulia Szendrei: e fu beato, e nella pienezza della sua felicità cantava: Mi sento un re. Se non che, fra le carezze della sposa, ei notava che la sua sciabola appesa alla parete della stanza nuziale guardavalo biecamente con occhio geloso, per la qual cosa nei primi dì delle nozze egli scriveva: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .