Libere, oneste, e nove
Socïali armonie.
È ver che ancora scalpita sul santo
Sepolcro de’ miei padri l’esecrato
Destrier tedesco; e spasima tra l’Alpe
E il Po, tra il lago di Catullo e il mare
Un ultimo Prometeo incatenato.
Con scellerata festa
Tuffa la moritura aquila il fondo
Occhio e le penne de la scarna testa
Ne le venete viscere: fumando
Esce stanca, non sazia, dall’immondo
Pasto; e, deterso il rostro ne la vesta
Imperïal, mette un funereo strido.
Rispondono da lunge
I glorïosi portici deserti
Del Sansovino, i templi epici, e il Lido,
Che serba in su la grigia
Arena tutta volta del tradito
Lïone le vestigia.
Ma numerati i giorni
Son del tripudio. In folto ordine invano
Col lor panno da morto per vessillo,
Con la foglia di rovere sul crine
Passan le torme dei perpetui Cimbri
L’odïoso confine. Ogni famiglia
È una congiura: ogni città, Pontida: —
Tempesta la battaglia. Il derisore
Dio de le fughe visita le file
De gli stranieri, e il core.
Vedo del combattuto Adige l’urne
E dell’Isonzo tingersi di rosa,
E una danza di bionde