Giunto del colle, mi rivolsi indietro
Vêr quella forra che rendea sembianza
D’un immenso ferètro.
XIV.
Ormai si affretta al fine
La maledetta secolar tragedia
Fra le alemanne genti
E le genti latine.
Da le molte favelle, a cui l’astuto
Sire insegnò con dïuturna insidia
A ricambiarsi accenti
D’odio e d’invidia, è per uscire alfine
La parola d’amore.
Iddio con immortali
Caratteri di monti e di marine
À segnate le patrie. All’opra sua
Già troppo contrastarono gli avari
Discernimenti, l’ámbito, e la fame
De’ figliuoli d’Arminio. Ognun possieda
Le sue tombe, e i suoi lari. Omai son vòlte
Le settimane del divin decreto
Che per trecento afflitti anni dannava
L’Itala stirpe a schiava.
Ora è fatal, che per la terza volta
Essa la sacra fiaccola raccolga
Di civiltà fra i ruderi di Roma
Sacerdotal sepolta;
E il suo seguendo nobile destino,
Per ispirate vie,
Maestra eterna, a le sorelle apprenda