Pure all’idea de le recenti e antiche
Catene, e degl’insulti
Da tre secoli inulti: all’empia vista
Di quel popol di morti, affascinato
Alzai la destra in guisa
Di chi vuol maledir: ma a mezzo l’arco
Ella mutossi in man che benedice:
E come ebro discesi
Da la pendice al campo insanguinato.
Colà in disparte parvemi la salma
D’un caduto su l’orlo de la riva.
Pendea nel fiume la sinistra palma
Che sospinta dall’onde
Iva e rediva come cosa viva.
Tenea con l’altra al core
Un suo strumento nitido di bosso,
Donde ei ritrasse in vita
Pane e sorrisi, e note
Di gentil melodia col sapïente
Alternar de le dita.1
«Povero onesto, io dissi, e chi di noi
Offese i padri tuoi?
Chi ti spinse a lasciar l’esile aratro
Sovra i piani dell’Elba? E non ti afflisse
Abbandonar l’immenso anfiteatro
De la patria boema, a cui fan cinta
La famosa foresta e le brillanti
Montagne dei Giganti? O perchè non seguìvi
Ad animar con gli eredati suoni
De le natie canzoni