Scellerato spingea le immonde braccia
Un patibolo al ciel, quasi pregasse
D’essere fulminato; e una silente
Siepe di plebe, in ira a Dio, fissava
Coi mille occhi la fronte inalterata
D’un morituro. Ei salutò l’Italia
Serenamente.... Un turbine di nebbie
Coperse il resto. A mezzo il dì dai vani
Ad or ad or de le fuggenti nubi
Usciva il sole a battere sul campo
Deserto, su la fune orrida, su la
Pendula salma d’un gentile ucciso,
E su quel collo ahi! livido, che un tempo
Tu coprivi di baci. Un augellino
Su la trave del martire cantava
Scotendosi la brina. E tu dov’eri
Allora, o donna! che facevi? quale
Era il tuo cor? Io poi conobbi il sacro
Loco de la sua fossa, e là una sera,
Lungamente per lui, per gli oppressori,
Per gli oppressi, pregai. Non anco, o bella,
Era il precoce anemone sbocciato
Su la sua zolla, che tu pur cantavi,
Ahi! rallegrata da un novello amore!