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canti patrii. 293


III.

     Fra le paludi sorge una cittade
Gagliarda e mesta. Il fiumicel che scende
Da Valdisole qui le virgiliane
Onde propaga in curva di laguna,
Riverberando i lividi fortini.
Quivi la notte, allor che il mondo à pace,
Allor che i rai de la infeconda luna
Sopra gli stagni guizzano, ti pare
Veder di larve battagliere l’ampia
Campagna popolarsi, e le insalubri
Melme dei saliceti, e da la lunge
Udir un canto funeral di voci
Fiorentine che vien da Curtatone.
Su gli erti spalti, ove passeggia muta,
L’ode la scólta barbara, e l’assale
Un arcano terror de la imminente
Ruina de l’impero. Ivi nel fondo
D’un baluardo l’amor tuo fu tratto
Al deserto d’un carcere. Non pianse:
Non pregò: non piegò: sulle annerite
Pareti, al fioco lume che piovea,
Con la consolatrice arte di Giotto
Segnò il profilo de le tue celesti
Sembianze; e da quel dì non fu più solo.

IV.

     Spuntava un’alba gelida. Le nebbie
Fumavano dal lago. In mezzo a un campo