Saturnale di servi,
Che ne la giovanil forza brutale
Passandoti sul grembo e su la testa
T’ànno solcata a striscie di sterminio,
Come per lunga riga di campagne
Fa, lanciata dal vento, la tempesta.
Tu fosti allor in prima
Una ruina; poscia un monastero;
Indi un’arena di battaglie, e un nido
D’insuperabil arte: or corre il grido
Che tu sia un cimitero. Oh! ma da questi
Campi di morte, ignoto
Mondo scoprendo e veritadi arcane,
Tu non di meno la maggior porgesti
Mèsse di genio a le famiglie umane.
Ma da queste ruine
De le tue varie Ateni,
Or di gioia temprato, ora di pianto,
Stupendo sempre ascese
De’ tuoi poeti il canto.
Ma, somigliante al passero solingo
Che dai petrosi monti
Spande sue note a consolar le valli
Tacite e l’ora mesta dei tramonti,
Qualche tuo nobil figlio
Mandò sì dolci musiche e sì nova
Virtù di melodie sopra la terra,
Che ne allegrò le lagrime, e il severo
Cammino dell’esiglio.
E l’infimo straniero,
Che ancor ci violenta,
Misero! Anch’egli ostenta
D’averti uccisa. Quasi