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TORNERÀ.


Cesare mio,

I nostri vecchi latini (dico quelli che sapeano scrivere) aveano costume di mandare nei giorni solenni in regalo agli amici, dei versi, o qualche altro lavoro di Letteratura. Persio inviava a Plozio Macrino, per fargli festa nel giorno natalizio, la seconda delle Satire, che ne rimangono di quel giovinetto incolpabile, vissuto in colpevoli tempi. Calvo, il Salaputium disertum, mandava nella festa dei Saturnali al suo elegantissimo Catullo, per farlo arrovellare, i più ladri versi che gli donavano i suoi clienti. Io, rinfrescando la bella e smessa usanza, t’invio per il Ceppo questo Canto, il quale se di troppo somigli alla roba di Calvo, tu, delicatissimo poeta, giudicherai.

Dio ti tenga lontani i tuoi mali di testa. Mi ricordo aver letto che Atene afflitta della morte del poeta Eupili, caduto in un combattimento, non potendo vietare alle frecce di cogliere i poeti, mise fuori un suo decreto, che vietava ai poeti d’avventurarsi in battaglia. La buona madre Natura dovrebbe vincere di cortesia la greca città, mettendone fuori un altro, che proibisse al Dolore di assalire la testa degli egregi poeti, come sei tu.

Io seguiterei ad avere il mio. Pazienza!

Guardando fuor della finestra, ove sto scrivendo, vedo là, verso Verona, mezzo ascoso dagli alberi, il tuo Castelrotto, dove tu, intimo dell’arte e della natura, tratti con uguale amore sapiente ora una strofa, ora una vite; e su quella collina il mio sguardo si ferma con tenerezza, perchè so che lassù c’è un cuore onesto che mi ama. Seguita dunque ad amarmi, e addio.

Il tuo Aleardi.

Sant’Ambrogio; 25 dicembre 1857.