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canti patrii. 281

Chiesa di Santa Croce,
Veder mi parve rïuscir da quelle
Sepolture di genî
Un tremolío di fulgide fiammelle,
Che valicando i limpidi sereni
Quetâro in cielo e tramutârsi in stelle.
Ma al tocco vespertin de la campana
Che geme irrequïeta
Limosinando carità di preci,
Di nuovo udii l’arcana
Voce che disse: «A che ti stai poeta?
È quello il rïottoso
Fiume de’ padri tuoi,
Il fiume d’un’Italia
Già tramontata. Oh! non è dessa l’onda
Che l’ardore quïeti a la sdegnosa
Tua Musa sitibonda.»

III.

     E ripreso il bordon del pellegrino,
Franco e spedito mi riposi in via
Stimolando il cammino
Con l’agitata e memore armonia
Di liberal canzone; infin che giunsi
A le rive del Po. Volgeva a mezzo
Già l’ora antelucana.
Per l’ampia solitudine dei cieli
La costellata Capra
Scoccava iridi e lampi;
Per l’ampia solitudine dei campi
Scoccava l’usignolo