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XX | due pagine autobiografiche |
gran che arcano, eterno, immenso, benigno, non fiero mai, nè crudele, come altri ce lo vorrebbero far credere, che si nomina Dio.
Anzi per questo mio eccessivo amoreggiar con la Natura, non ricordo in quale scritto, m’ànno dato per sino del panteista. Io venero, è vero, quel magnanimo infelice di Giordano Bruno, che un papa à fatto bruciare in nome di quel Cristo che non avrebbe torto un capello a Giuda Scariotto; amo i filosofi, amo molto i sommi poeti della giovine Germania: ma quanto a panteista, lo sono a un bel circa, come lo era l’ingenuo e affettuoso poverello d’Assisi, che in quella sua delicata comunione con la universal natura prescegliea di pregar nelle selve; trattava da pari col lupo d’Agubbio; componea con le sue mani il nido alle tortori salvate; s’intratteneva in lunghi colloqui con le rondinelle del vicinato, ch’egli chiamava «sue sirocchie.»
Se non che questa Natura è un libro difficile per tradurlo a modo in poesia. Bisogna mettervi del proprio; bisogna raccogliere gli spettacoli del creato nell’anima, come luce in diamante, e farglieli riflettere; trasformarli in emozioni, in pensieri eloquenti; infondere nelle cose la grazia, il sentimento, la malinconia, le lagrime che abbiamo