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276 canti patrii.

Dov’era quel celeste che m’intese,
“Tu messagger, che salirai tra poco
Per iscala di stelle a la serena
Maestà dell’Eterno, e tu gli reca
Queste tre pure, ardenti
Lagrime d’innocenti,
Raccolte adesso ne la valle bieca:
E digli, che da secoli si piange
In questa patria; che dal mar, dal monte
E da la indarno fertile pianura,
Per quanto abbraccia l’italo orizzonte,
Esce perpetua un’aria di sventura;
E un grido di preghiera
D’un popolo che spera
Veder cessato il disonesto oltraggio
Del deforme servaggio.
Digli, che scende da le rezie rupi
Da troppo lunga etade
Nata su campi d’infeconde arene
Una gente mendica
Maestra di catene,
Che trepida e superba, e con le spade
In pugno, si nutrica
Qui de le nostre biade
Avidamente. E digli
Che l’oro invola dai palagi, il pane
Da gli abituri, i figli
Dal sen materno; e multa
I nobili sospiri;
Ai generosi insulta
Coi ceppi e coi martíri,
E sul palco li uccide
Perfidamente, e ride.