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XVIII due pagine autobiografiche

scorsi, durante i quali egli avea seguitato a sentir cantare l’uccellino color celeste.

Io temo forte che se avessi a tornare dopo un siffatto svago di cento anni col mio volume e col mio nome fra i miei concittadini, che son di là da venire, mi toccherebbe a un di presso la sorte di Fra Felice. E forse vivono molti, in questi anni di grazia, i quali, quantunque noi pensino nè anche per sogno, riuscirebbero altrettanti Fra Felici, se si trovassero a quel caso. E forse irritati dalla sorpresa darebbero nelle furie e commetterebbero qualche grave scandalo. Io almeno l’avrei prevista.

Ma quali che sieno queste povere mie cose, eccone qui parecchie stampate se non altro per sottrarle alla invereconda rapina dei contraffattori. Di esse partitamente, come altri usa, non dico, e perchè ne giudicherai tu meglio di me, arguto lettore; e perchè mi tarda di uscire da questa vanità del parlare di me.

Solo, dacchè ci siamo, permettimi ancora due parole. Se io per avventura ero nato a qualche cosa, ero nato al pittore; e per questo se qualche cosa ci è di non cattivissimo nella roba mia, è tutto pittura; e per questo co’ pittori me la intendo, e mi vogliono bene. Il mio vecchio maestro di disegno che avevo a sett’anni, l’ultimo, credo,