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due pagine autobiografiche. XVII


Un mattino Fra Felice esce dal chiostro col suo bastoncello di spino, e baloccandosi pel bosco, eccoti cantare un uccello che tutto il rapisce. Il cielo è netto, l’erba fresca, l’ombra profumata sotto il tiglio in fiore: e il bravo uccellino, color celeste, seguita a cantare. Che gorgheggi, che trilli! Fra Felice non aveva mai sentito in vita sua simile melodia; l’organo del suo Santuario, Dio gliel perdoni, non à che fare con questo organino di primavera, che modula i suoi canti in mezzo alla luce. Fra Felice ascolta, ascolta, e si lascia rapire infino all’estasi; quando, giunta l’ora del ritorno, si incammina al convento. Ma, cosa strana! presentatosi il portinaio, questi gli fa due occhi da barbagianni, scrolla la testa, e rifiuta di riceverlo. Qui nasce un battibecco, alzano la voce, e di qua, di là corrono allo strepito i fraticelli. Altra cosa strana: egli non vede che musi nuovi, nissun lo conosce, non riconosce nissuno. Allora lo si conduce dal Priore; il buon uomo barbogio, che casca dalla vecchiaia, finisce, dopo molto pensare, col ricordarsi d’avere un tempo, quando era novizio, conosciuto un frate chiamato Felice, che rassomigliava appuntino alla persona che gli era presentata. Si scartabellano gli unti registri del convento, e vi si trova difatti il suo nome. Cento anni erano