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XVI | due pagine autobiografiche |
in Grecia, la più lunga, la più morbida treccia sarebbe stata la tua. Dio sa, Michelangiola, qual parte forse avesti nel fragile tessuto delle mie idee e de’ miei sentimenti. Tu non ne sapesti mai nulla, ed io ne so meno di te: sono segreti del Signore.
Un profondo amore dunque, e un po’ d’intelligenza della natura, un sentimento quasi idolatra del bello ovunque sia, un cuore pieno anche troppo di tenerezze, se non m’anno fatto poeta, che ci vorrebbe un bel coraggio a credersi tale, m’ànno svegliato una passione ardente per la poesia.
Sennonché dice il proverbio:
«Chi promette e non attiene,
L’anima sua non va mai bene.»
Ed io ò trasgredito il volere di mio padre: non ò tenuta la mia promessa; non ò ascoltata la sua preghiera; e perciò l’opera mia à da essere cattiva: c’è passata su l’ombra della colpa: dev’essere come un fiore nato con entro il baco, il baco della disubbidienza; à da essere perciò un lavoro caduco, il quale, in verità, non ò avuto mai speranza che avesse a durare.
A proposito del qual durare mi viene in mente una vecchia e nota leggenda che fa in parte al caso mio. Le nostre nonne appassionate del maraviglioso, come i fanciulli, la contavano così: