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224 a un amico.

voce esile che tanto contrastava con la furia di potenti idee che esprimeva, porgendomi quei quattro ossicini della sua mano, mi disse: «Questi cannoni, mio caro, uccidono anche le speranze d’Italia.» — «Quanto a ciò, risposi, essi non mi uccidono nulla, perchè con questa gente e con questo Lamartine al governo, con quell’Oudinot all’esercito, dopo che li ò imparati a conoscere, di speranze non ne ò avuto più ombra.» — E si tacque di nuovo lungamente. Egli aveva gli occhi levati al cielo, e forse pregava per il suo e per il mio paese, per chi moriva e per chi faceva morire. E il cannone seguitava. Ma lasciamo là.

Del resto, tornando al Bastiat, non è mica vero, sai, che quando ei morì a Roma gli abbiano deposto nel sepolcro a San Luigi de’ Francesi il suo manoscritto. Quel volume sì bene incominciato, e sì male interrotto dalla morte, l’Italia, a quel che mi dissero, lo inviò a te, acciò ne riempia le moltissime pagine rimaste bianche; e allarghi e svolga, nella mirabil maniera che sai, il fecondo e magnanimo concepimento del defunto basco.

Addio col cuore dal tuo

Aleardo Aleardi.


Verona, 15 febbraio 1859