Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/258

218 ore cattive.

Con voluttà. Non altrimente, Elisa,
Ò sentito quel di, che con lo sguardo
M’affacciai studïoso a le profonde
Vanità del tuo cor. Salvo che note
D’uccelli no, ma canto di sirene
Dolcissimo sorgea dal buio. Vinta
Da ineluttabil fascino, cercando
Non l’obblío, ma l’amor, precipitossi
La desïosa anima mia nel suo
Leucade anch’ella: e non trovò che ambagi
Perfide e gelo. — Or tutto fu. La morte
Pose fra noi l’immensità di quattro
Zolle di terra. Ma se pure un giorno
C’incontrerem, dopo un millennio, Elisa,
Là su nel mar dell’anime; del mio
Spirito la facella incontanente
Scintillerà livida luce. A volo
Pure mi celerò dietro le siepi
De gli alberi immortali, a fin che l’eco
De le memorie e il morso, un’ora sola,
Non abbiano a scemarti il Paradiso.

V.

     Elisa è viva. Un pellegrin che venne
Da le costiere di lontano mare
Narrò d’averla vista uscir dall’acque
Nuotatrice gioconda. Ed una sera
Nell’ora mesta che la squilla parla
Di ricordi, di patria e di defunti,
La rivide pensosa, in su la rena