Carità di perdoni; una serena
Purezza di pensier mista a febbrile
Sperïenza di cupide carezze;
Ingenue fedi; desiderii audaci
E insazïati; avidità di arcane
Ebbrezze; del martirio e de la tomba
Uno sprezzo magnanimo; un perenne
Vagheggiamento dell’eterna idea;
Ecco, Elisa, il pöeta, ecco la vita,
Che invan mi chieggo, se le Erinni o i Numi
Concessero agli splendidi infelici
Condannati a la cetra. Io ’l so per prova;
E l’onda che si frange a la scogliera
Di Leucade lo sa. Tu lo tradisti;
Tu lo lasciasti, o donna, offeso e solo:
Là, su la terra forse ei ti negava
Il suo perdono, e tu sarai dannata
Forse per molti secoli soletta
Sempre ed offesa a vïaggiar per l’ermo
Regno dei morti.”
Tacque. E l’una l’altra
Guardava: ed una si tergeva il pianto.
III.
O sventurata pöetessa, io troppo
Quella donna adorai con le pagane
Bramosie che la tua voluttuosa
Ode cantò, con le profonde e caste
Malinconie dell’anima che il divo
Nazzareno insegnò, perchè negarle
Potessi il mio perdono. Oh se sapessi!
Io nei recessi del mio cor le aveva