Di pallidi leggiadri; ed ivan lenti
Come malati. Il giovine cingea
Soavemente con un braccio al fianco
L’adorabil cognata; e con la mano
Posta sul cor le trattenea le nere
Gocce di sangue che gemean tuttora
Dall’antica ferita. Allor ch’ei giunse
A ravvisar la misera seduta,
Disse, appressando il volto a la compagna
Si che col labbro ne lambì l’orecchio:
"Affretta il piè, nè riguardar, Francesca,
Quella crudel che non amò giammai."
Come fur dileguati, una seconda
Coppia arrivò di creature belle
Che con amore si tenean per mano.
In lui congiunte su la vasta fronte
Parea l’intelligenza e la sventura
Nobilmente patita. Era nel vago
Capo di lei, raso di chiome, e avvolto
In bianchissime bende, una forzata
Serenità che risentía del chiostro:
Ma sotto gli occhi languidi per molto
Implacato desio, notavi il solco,
Che le lagrime ascose avean segnato.
Ella si strinse al suo diletto, e chiese
Nel linguaggio dei semplici trovieri:
“Abelardo, che fa quella romita?” —
“Piange, rispose, perchè amore in terra
Promise a molti, e non amò nessuno.”
E sdegnosi passâr senza la scarsa
Carità d’un saluto. Altra o divisa
Gente od unita seguitò la prima,
Senza degnar nè d’un accento pio