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210 ore cattive.

Rigide, urtando con l’incerto volo.
Ella seguiva indifferente, e il piede,
Vanto dei balli, scivolar talora
Sentía sul tergo d’un’immonda botta
Saltellante nel buio a la ricerca
Di laide nozze. Quando giunse al varco
Dell’orba solitudine dei morti,
Su la soglia trovò de le sue buone
Opre il fardello e de le sue peccata;
E lesta e franca lo si pose in capo,
A quella foggia che usan sul mattino
Le colligiane olimpiche d’Albano,
Tornando dal social pozzo con l’idria.
Era il loco una sabbia arida e grigia,
Pari a le dune e senza mai confine.
Sull’orizzonte una perpetua zona
D’immutabili nubi. Il suol pungea
Per le reliquie di conchiglie infrante,
Per insepolte e róse ossa. Nel cielo
Ignoto al sole, scolorite, immote
Apparenze di stelle a quando a quando
Lasciavano cader un tetro raggio,
Simile a quel del dïamante nero.
Lontan lontano, a schiere, ivan pel fosco
Crepuscolo fantasimi d’amori,
Vissuti un tempo, su, in la terra bella,
Traendo spente faci arrovesciate:
Eran così consunti, e ne le forme
Dïafani, che sotto il sen vedevi
Pendere immoto il cor; come si vede
Pendere fra le nebbie del gennaio
Un vizzo frutto che obbliò distratta
L’autunno di spiccar la villanella.