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due pagine autobiografiche. XIII

Eravamo a Marengo. Melas, ch’egli chiamava con le sardoniche canzoni del suo tempo Melacotte, si tenea in pugno la vittoria: Bonaparte schizzava fulmini d’ira; quando a un tratto smette il racconto, mi guarda fisso e mi dice:

— Figlio mio, te n’ò già fatto parola un’altra volta. Non invaghire, ti prego, di questa civettuola di Poesia, che con tutti i suoi andari di gran dama, ti farà qualche mal tiro da crestaina infedele. Piglia una buona compagna, come sarebbe a dire la Legge; e ti comporrai una famiglia, avrai del ben di Dio, sarai contento in vita, morrai sereno e benedetto. Questi amori vagabondi ti faranno capitar male; vivrai irrequieto, forse infelice; ti logorerai l’anima e la vita.—

Io nicchiai; ma rimasi in silenzio e feci segno d’assentire.

Sonò l’avemarìa, ci levammo il cappello e si pregò. Quel lontano rintocco nelle orecchie, quei poveri morti in cuore, e Dio che ci ascoltava: quel fiume velato dal crepuscolo che andava, andava perpetuamente parlandomi della fugacità della vita: quell’orizzonte con una striscia d’arancio che mi parlava del giro vertiginoso della terra: quella stella d’Arturo che cominciava ad apparire, e mi parlava della immensità dei mondi, mi vinsero, non