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ore cattive. 209

Mezzo tra i fiori e l’eriche nascosa
Appar talvolta, giovinetta eterna,
Una ninfa di Fidia, E sì lo vince
La leggiadria de le scolpite membra
Da spasimar qual di fanciulla viva.
Le siede presso, la contempla e quasi
Arde, le parla, la desia: ma passa
Pur non di meno il venticel che spira
Da Giacinto o da Scio, senza che un solo
Riccio si mova sul marmoreo fronte
De la bella di Paro. E tal giacevi,
Misera Elisa, in mezzo a lo scompiglio
De le diverse coltri inanimata.

II.

     Ella morì. Con arte attica avvolto
A le spalle il lenzuol, mandò un addio
A’ suoi diletti, e disdegnosa in vista
Si volse a la lontana e sterminata
Regïon de le larve. Indifferente
Varcò i silenzïosi anditi scuri
Che conducono a Dite. Era il terreno
Molle di pianto dei passati innanzi.
D’infra gli spacchi dei cadenti muri
Si rizzavan in tetro ordin le strigi
Col topazio del tondo occhio fissando
La passeggera, ed incurvando in atto
Di reverenza il capo, Il tenebroso
Aër intorno intorno era inquïeto
Per l’ale floscie di notturni augelli
Che il volto a lei strisciavano e le chiome