Lieve lieve allungando una magnolia
Al labbro s’appressò cupidamente
De la sopita, e vi depose il bacio,
Onde l’aveva il donator pregata.
Ma in quello istante pur non altrimenti
La cardenia movea, movea l’acuta
Tuberosa ed il giglio; e ognun credeva
In quella delicata ora di colpa
D’esser non visto, ognun d’essere il solo.
Chè la divina sognatrice, accesa
Da volubili febbri, il collo e i crini
Acconsentiva e il sen nitido a tutti
Perfidamente con egual misura.
Ma in un balen dall’acre accorgìmento
Ch’ella tradía fûr colti. Una gelosa
Rabbia li vinse, e in tacita congiura
Ne decisero il fato. Allor dal fondo
Dei calici scherniti, ove si accoglie
Tanta virtù d’inesplorate essenze,
Stille dedusser di sottil veleno
E nuvolette d’aliti mortali.
Poscia ravvolti in quei vapor d’affanno
Saettaron le nari all’infedele
Atrocemente. Ella agitò pei lini
Le sue nobili forme; una fatica
Disperata divenne il suo respiro;
Come di cosa che si ferma, il metro
Sempre più lento era del core; volle
Mettere un grido; aprì gli occhi; la lampa
Spegneasi allora con guizzo supremo;
Ed ella vide l’ombra de la morte
Passar su la parete. — Al vïatore
Che vaga per alcuna isola greca,