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XII | due pagine autobiografiche |
disinvolta modestia “Siorìa;” e non ci volle altro. La mia fantasia correva le quattro plaghe dei venti, e immemore della promessa data pocanzi, vestiva, a suo modo, di canto involontario e segreto tutta quella bellezza animata e inanimata della eterna natura.
Una sera passeggiavo con mio padre; non avevo ancor tocchi i vent’anni; si era in un luogo romito, lungo l’Adige, nella ricca pianura veronese. Andavamo per una viuzza che costeggia la sponda: mi par ancora di vederla. Il sole tramontava fra un gruppo di pioppi; le onde parevan d’oro; i pesci, esultando, schizzavano fuor dell’acqua per salutare la luce morente; i passeri faceano uno svolazzìo, un cicaleccio confuso prima d’appollaiarsi sui salici dell’isolotto ch’era in mezzo al fiume.
Anche allora ei mi parlava del gran Côrso, e di quelle battaglie da giganti: era il suo tèma favorito; e talvolta, soffermandosi, segnava sulla rena con la sua canna d’India il posto dei Francesi, e di quegli altri lassù di Germania ch’egli pure mandava con tutto il cuore alla malora.
Ma anche quella sera io capivo benissimo che fra que’ veliti e quelle squadre di dragoni c’era qualche altra cosa che avea da dirmi e non dicea.