176 |
raffaello e la fornarina. |
|
Al par che de la tersa onda del Garda
L’alghe e i lapilli puoi notar nel fondo
Tutti ricinti d’iridi dorate.
Ella venia dicendo un suo rispetto:
Mesto era il verso, ancorachè gioconda
La cantatrice; e come giunse all’orlo
Del Tevere, sedette, ivi immergendo
Il piè sottil ne la volubil acqua,
Simile a tremolante ala di cigno
Che festevole guazza. In quel momento
Cantava un capinero in su la cima
D’un olëandro; e a lei la giovinezza
Cantava in core.
Lungamente il guardo
Indagator de la beltade affisse
Il cavaliero in quel novo e gentile
Miracolo: notando la superba
Leggiadría de le forme, e il crine e il labbro
Tumidetto, e le molli ombre e la varia
Ingenuità de le verginee pose,
Ond’ei fu vinto. A rotti balzi il core
Batteagli: il fiume, gli alberi, le mura
Gli giravano intorno in andamento
Vertiginoso: gli fería le orecchie
Un indistinto tintinnire, e l’alma
Tremolando gli ardea, quasi fiammella
Al vento. Alfin si scosse, e involontario
Gli sfuggì questo accento: “O Fornarina!”
Volse a tal voce rapida la testa,
Ed arrossì la crëatura bella;
Trasse da l’onda il piè tutto stillante,