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raffaello e la fornarina. |
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In brune anella gli scendea la chioma
Nitida; e l’occhio... oh! chi ridir volesse
La delicata pöesia, la forte
Pöesia di quell’occhio glorïoso,
Di tutte cose belle innamorato,
Dovria parlar come si parla in Cielo.
Stava qual uom che desïando aspetta
Piacer tardato. E vagabondo intanto
Il suo pensier correa tra le bellezze
De la natura. Ora guardava al flutto
Del Tevere, che sotto gli fuggía
Frangendosi nei ruderi del ponte
Venerando di Cocle, e nelle nasse
Dei pescadori. — Ora guardava al cielo
Lontan lontano, ove una scura, obliqua
Striscia di pioggia visitar pareva
Il laghetto d’Albano, e l’azzurrine
Fonti di Nemi, e monumenti e selve,
Che fanno invidia ai nobili giardini
De lo stranier. La brezza che dal monte
Gianicolo movea, non anco resa
Flebile e sacra dal sospiro estremo
D’un poeta infelice, al taciturno
Giovin molceva l’olivigna fronte;
A lui recando il murmure uniforme
Dei rimoti mulini. Uscía d’un tempio,
Tomba divota di donzelle vive,
Un’armonia di cantici argentini,
Che innanzi sera modulavan quelle
Päurose del mondo: e t’affliggea
Söavemente, quasi fosse un coro
Di martiri che il mesto inno levasse