|
RAFFAELLO E LA FORNARINA. |
|
I.
Passâr già meglio di trecento aprili,
E cadeva un april, raccomandando
A la feconda carità del maggio
Le morenti vïole e la giuliva
Infanzia de le rose. Il sol dorava
Gli archi del Coliseo, di porporina
Luce innondando, come è suo costume,
La scintillante aura del ciel latino:
E sola un’ora gli mancava al vale
Cotidïano, ad occultar la fronte
Dietro l’aspra di selve e di vendette
Isola, amar dei vïolenti Corsi:
Itala allora; itala sempre.
Accanto
Al muricciuol d’un breve orto riposto,
Tra le spire sedea d’una vitalba
Voluttüosa un cavalier; la testa
Gli pendea, per natío vezzo, chinata
Sopra la tenue spalla, quasi cedro
Troppo grave al picciuol che lo sostiene.
Ondoleggiando su le vesti elette