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168 | le città italiane |
In silenzio all’avello; e poi che niuna
Più ne restava, sin la lor memoria
Sommersero nell’onda dell’obblio.
E di tanta fortuna
Solo rimaser la speranza e Dio!...
E l’Arcadia trillava. Ahi sciagurati
Fastasimi di vati! E quella, in tanto
Strazio comun, la dolce ora vi parve
Da vaneggiar nei folti
Boschi per Clori e Fillide? - Dei fati
Scherno crudel fu il vostro canto, o stolti
Fabbri di vacue larve!
E intanto quel gentil popol che corse
Marinaro e guerriero
Sul gemino emispero,
Vedilo là, che asciuga al sol la vela,
Quasi mantel di povero, sdrucita;
E al remo suda inconscio pescadore,
E ignoto vive, e muore
Ignoto, e posa nell’umíl sagrato
A la sua chiesa allato,
Dove appendeva all’are
Qualche votiva tavola a Maria...
Ave, Stella del mare!
Pei mille templi che da Chioggia a Noto
Ti ergea pregando l’italo devoto;
Per i lumi modesti
Ch’ora ei t’accende ai dì de la procella;
Per Raffael che ti pingea sì bella;
Tu sì gentil coi mesti,
Fa’ che la gloria ancor spunti, o Divina,
Sui tre orizzonti de la mia marina.