Che i Sabei d’Orïente affascinava
Pastor contemplativi, inclito lume,
Il fior più bello dell’april dei cieli.
Odo piover dall’alto una dolcezza
Di profuse armonie, che manda, tocca
Dal suo custode Cherubin, la Lira.
Sotto lo sguardo del Signore io vedo
Entro a fecondi albóri nebulosi
Comporsi giovinetti astri e lanciarsi,
Come gazzelle, a le prefisse curve.
E tratto tratto sulla via mi scontra
Un raggio rapidissimo che cala
Da una stella per tanto etra divisa,
Che pria mille fien vôlti anni a la terra,
Che scenda al tocco di mortal pupilla.
E sempre ch’io m’innalzi entro i silenzi
Di quegli azzurri spazi interminati,
Mi sorride novello un tremolío
D’isolette di luce; e qual si pinge
Come il giacinto e la vïola, quale
Veste le tinte de la cener mesta,
Od incolora le seguaci sfere
D’un incarnato languido di rosa:
Poi che non cresce solamente il giglio
Sui costellati campi del Signore,
E tutto splende, e tutto danza in quella
Festa dei cieli, e tutto fugge a volo;
E Dio solo conosce a quale arcano
Porto tenda il creato, e quando fia
Ch’ivi riposi dal fatal vïaggio.
Oh! potessi io, poscia che avrò veduto
Si addentro l’universo, un’ora sola