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lettere a maria. 151

Svanirà l’acqua che la bagna; l’aura
Che la circonda; nè scintilla alcuna
Più nel suo grembo celerà di foco.
Vedovata di piante d’ogni forma
Vivente, fredda, cavernosa, muta
Passerà in cielo come passa in mare
Naufraga nave, dove tutto è morto.”

     Qui la materna sapïente voce
Seguendo adir, l’antica de le cose
Notte mi narra, e la profonda requie
De la materia informe, e il primo guizzo
De la feconda luce; e de la vita
Le origini, e il cessato Eden col fallo
De la fragile madre; e la vicenda
Di servitù, d’affanni e di vittorie
Predestinata a le venture stirpi,
Con rapita canzon mi vaticina.
Nè piango io, no, chè lagrimar pupilla
Immortale non può; ma sento un’acre
Reminiscenza del versato pianto.

     Poi rïaperto il vol esco dai mondi
Ove domina il Sole: e lui che immoto
Credeva, trascinar miro in arcana
Fuga il corteggio de le serve sfere
Verso la via dell’Ercole celeste.
E nuovo etere passo; e là saluto
Le due famiglie de la gelid’Orsa
E quel provido e fisso occhio d’amore
Che il porto accenna a le raminghe vele.
Valico i regni, dove il trino splende
Sodalizio dei re: m’accosto al Sirio