Calarmi ne la fossa: odo fra i sassi
Il badile sonar del taciturno
Seppellitore, che mi versa in capo
L’ultima gleba, e mi rimango in una
Solitudine buia abbandonato.
Quand’ecco un Forte splendido che arriva
E mi contende al Re do le tenèbre,
E lotta, e vince, e da la oscena. tomba
Mi vuol redento. Un aleggiar di brezza
Paradisiaca mi blandisce il volto
Con frescure olezzanti: e pei sereni,
Traversati da spiriti e da stelle,
Ascender veggo sull’opposto lembo
L’alba che ne impromise il Nazzareno.
Attonito mi levo, e da le chiome
Scuoto la morte: e sovra il gelid’orlo
Del sepolcro chinata un’apparenza
D’immortal gioventù mi si presenta,
E non sente di terra il suo saluto...
Oh! la ravviso. Ella è mia madre. Ed ecco
Mi raccoglie nel suo manto odoroso
Dei profumi del cielo; e come augello
Di paradiso che a la prole insegni
Il remigar de le inesperte piume,
La mi trae per le vie dei firmamenti.
Ne la fidanza del materno seno
Lieve lieve mi sento all’indefesso
Rapidissimo volo; e via trapasso
Saettando pei limpidi zaffiri.
Omai s’io miro a la superba e frale
Vanità de la terra, altro non odo
Che il confuso fiottar dell’oceàno