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lettere a maria. 145

Sali quel colle, e giù per la valletta
Mira là quell’erboso ultimo lembo
Chiuso da bianco muricciolo dove
Una selvetta pullula di croci:
Quello è il nobile campo, ove ànno i padri
De la villa riposo. Essi, Maria,
Poco àn goduto, ànno patito molto
Per i figli e le mandrie, e per le gemme
Dal vigneto promesse. Essi nel tempo
Del mietitore benedisser Dio
De le biche raccolte, e se dai tetti
Lagrimava la neve, essi cantando
Reddían col fascio di roveti a spalle
All’allegria del focolar loquace.
Poscia nei giorni di riposo, al tempio
In famiglia traean vestiti a festa
A cantare al Signor le lor preghiere.
E alcun vi fu che ne la ingenua vita
Uniforme non seppe altro del mondo
Che quel campo, quel monte, e quella chiesa.
Ora taciti là posano, come
Se non fossero nati.
                                      Ed ivi forse
Dorme un occulto Pindaro senz’arpa:
Un Ildebrando, cui mancò la stola
Venerabile e i tempi: un novo forse
Napolëon, che non sortía la spada,
Ma l’animo sortiva ai favolosi
Combattimenti, e a quella anco maggiore
Lotta che nei crudeli anni del bando,
Solo, in cospetto de la terra, e nudo
Combattè nell’infame isola e vinse.
Essi, quasi incompiute opre passâro,