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lettere a maria. 143

Lontana; un’indistinta ricordanza
Che ne lasciava quel divin paese.

     Onde questa mi piovve insazïata
Ansia d’un bello che non trovo in terra?
Ne le forme dell’Itale fanciulle;
Ne l’austera armonia de i cesellati
Carmi de gli avi; ne le dolci note
Che l’usignolo di Catania attinse
Dal suo cor che moría; ne le colonne
Del Partenone; nei celesti volti
Che Raffaello in visïon rapito
Vedea la notte, e il giorno ritraea;
Nel mar, nei monti, nei deserti, e invano
Ne le stelle lo cerco. Oh certamente
È più in su che le stelle!
                                                  Allor che m’arde
Turgido il core, e in ogni fibra un vivo
Fremito sento di desio che anela
A una colpa imminente, onde mi viene
Questo poter recondito che insorge
Meco a battaglia, e nel misterio estinguo
I bollori del sangue, e mi süade
Una virtù che dal gioir rifugge?
Onde avvien mai, che ai termini sdegnoso
Assegnati al mortal, come se avessi
Il sentimento di chi fu bandito,
Rompo il confine col pensiero, e volo
D’un avvenir sui campi interminati?
E molto più del minacciato Inferno
M’è terribile il nulla? E qui si giura
Noi moribondi eternità d’amore,
E d’odio eternità noi moribondi?