D’un silenzio che medita sull’onte,
Quel prepararsi a le supreme sfide
Dei popoli ringhiosi? Onde cotanto
Fáscino all’oro, e quell’esser delitto
La povertade? E nei fastosi prandi
L’esultanza dei tristi e quel segreto
Patimento di pure anime, sempre
Inesperte del mondo? E chi mi trasse
A questo ballo mascherato, dove,
Se mai per generoso impeto io strappo
Il vel bugiardo, e levo alta la fronte,
E sillogizzo un franco ver che tutti
Ànno nel core, mi deridon tutti?
E su gli ungari campi e su i moravi
Sorge un castel con una tetra muda
Ove starò per orbi anni scontando
La santità del temerario vero?
E sopra mi verran l’unghie e la rabbia
D’aquila immonda a lacerare i lombi
All’oscuro Prometeo?...
Oh! tal l’idea
De’ celesti non era; e pria che nati
Fossero i padri de’ miei padri, alcuno
À peccato per noi.
Forse, Maria,
Quella tremola stilla che discorre
Giù pel tuo seno come cosa viva,
È più che pianto. È un mistico lavacro;
E, senza che tu ’l sappia, ella ti monda
Pei cieli patrii. Poi che tutti, o cara,
Di lassuso venimmo: uno lo disse
Che mai non erra: e quanto d’alto e puro
E di nobile à il core, è forse un’eco