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lettere a maria. 141

Dei giorni che passâr; forse una colpa
Travestita in rimorso, e una speranza
Che sfugge e irride, come fatua fiamma
A lo smarrito in tenebrosa landa.
E il dolor, come re, siede nel mezzo
Dell’inospita landa; e da là lunge
Fra il turbinio de la commossa polve
Sfolgoran gli assi e le cavalle insane
De la fortuna. E domina i tumulti
Ora un grido di morte, ora un plebeo
Scoppio di risa: e l’ansïose turbe
Sotto i fuggenti corridor, tra i solchi
Maculati di sangue, urta la Dea.
Povero e forte, in eminenza assiso,
Lagrima il giusto condannato a giorni
Inoperosi, e accanto a lui guardando
A quella grama commedia d’un’ora,
Sveglia da la dolente arpa il poeta
Un inno che nel vano aere si perde,
E ne la valle giù passan le turbe
Salutandoli folli.

                                   Oh! ne la vita
Qualche delitto incognito ne pesa;
Qualche cosa si espia!
                                          Chi a noi d’intorno
Segnò questo fatal cerchio di colpe
E di sventura? e su la vergin prole
Fe’ che per rami di Cain scendesse
L’eredità di sangue inconsumata?
Chi sovra i balzi permettea le rôcche
Vïolente, onde emerse il pauroso
Dritto dell’oppressor? Perchè nel mezzo