Le viltà de la iena; è uno scompiglio;
È il più superbo dei vulcani, quando
Lo sommovon gli affetti. E pur nel fondo,
O irrevocata, o maledetta, o cara,
Abita guardïana una virtude;
E cui l’intende, arcanamente parla
Una santa parola; ed Eva prima
La chiamò Coscïenza, ed è flagello
Muto agl’iniqui, e allegra le gagliarde
Malinconíe del giusto. Ella ne fia
Stella del polo.
Fra quell’onda ignota
Che varcheremo del futuro, siede
Squallida una riviera. All’appressarsi
Sente da lunge il navigante acuto
Un olir di cipressi, e vede in alto
Girar qualche digiun sciame di corvi;
E via pel verde un albeggiar di marmi,
Strani fior per un campo! Illanguidita
Lascia i remi la mano, e da sè stessa
Si ripiega la vela. Ivi è fatale
Che approdin tutti d’ogni terra; ed ivi
Tutti dormono in pace. E noi, Maria,
Arriveremo, e soli in appartata
Arca, e abbracciati poserem nel sonno,
Rimettendo la stanca anima a Dio,
Poi che il termine è Dio.
Nata all’opaco
Seno d’un masso che le ruba i soli,
Le rame allunga sottilmente e piega
La tremula alberella. Urto di brezza,
Che assidua spiri, non la spinge a quelle
Curve insolite a lei; ma sì la tira