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lettere a maria. 135

Prigion coi piè dal ferro illividiti
Chi la frangea. Si dolsero i Celesti,
Antiveggendo le catene e il danno
Che il morta! si tesseva imprevidente.
Ma intanto i figli a questa del passato
Non consentita tirannía ribelli
Coi codici degli avi ereditâro
La scala dei patiboli e l’infamia.

     Mia non sarai. Ti chiamerò col nome
Placido di sorella; e mi parrai
Fiore di cielo; simile alla rosa
De la mistica val di Casimira,
All’amoroso rosignol contesa.
E pèra il dì, che volta all’orïente,
Quando nasce il più vago astro dei cieli,
Tu non gli possa dir: "Stella Dïana,
Al par di te purissima mi levo."
Fidati a me. Vedi laggiù sul terso
Orizzonte del mar quelle due verdi
Isolette vicine? Elle divise
Per grande abisso, fin dall’ore prime
Del creato son là. Sempre alle stesse
Avventure consorti, il sol le scalda,
L’onda le bacia, le flagella il vento,
E la pioggia le bagna: e l’una all’altra
Sorridon liete, e l’una all’altra invia
Un saluto di balsami e di canti...
Si guardan sempre, e non si toccan mai.
Vedi lassù nel ciel romitamente
La luna andar, come una mesta? Ed ella,
Da che volò la prima ala del tempo,
Con la terra amoreggia. Un’infinita