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122 i fuochi dell’appennino.

Dell’Ettore toscano. E forse in quella
Scurità de la fossa a lui parranno
Stille di sangue torpido che cada
Dal rotto seno de la patria ingrata.
E quando inoltro e prego in quell’ostello
Di numi che si chiama Santa Croce,
Meno io penso talora ai glorïosi
Raccolti là, di quel che a te non pensi,
Grande obliato che ne sei lontano.

V.

     E nuove croci e simboli di morte
Veggo per tutto, dove più s’imborga
La gemina pianura ove Appennino
Più s’incastella ne le grigie alture.
Strappate via quelle tristezze. Iddio
Certo non volle scindere quest’alma
Penisola in amari cimiteri
Di patrie. Dai celesti ognor protette
Fûr le concordi, valorose, e pie
Cittadinanze. Ormai le avite colpe
Troppo scontammo. Per selvaggio e lungo
Deserto, è vero, abbiam peregrinato,
Esuli in patria, incatenati, irrisi;
Ma se non v’era altro sentier che questo
Triste di spine e di servile affanno
A mondarne dai vecchi astii, e dal sangue
Sparso in pugne fraterne, e a farci uniti,
Siccome fascio di littoria scure,
Benedetto l’affanno! — E il dì che in capo
Provocata discenda a lo straniero,