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118 i fuochi dell’appennino.

Ne le arsure del dì mortificati;
Nè il quïeto splendor d’alabastrina
Luna che batte là su le muraglie
De le case montane, e su la snella
Gora spumante del mulin che geme,
M’eccitan l’estro e i sùbiti ardimenti;
Però che solo per cantar non canto:
Non tra le siepi il piccioletto lume
De la lucciola errante, o il mesto verso
Che il cuculo dai folti aceri manda,
Simile a voce umana che si lagni;
O le legioni tacite degli astri
Che ne passan sul capo, ànno il mio canto:
Un Dio virile le sdegnose invita
Malinconie del liberal pöeta.
Indomato desir di Libertade
Sento rïarder ne le vene. Oh fosse
Pari a quegli astri splendido il mio verso
Ed immortal! chè allor da le vilmente
Aperte chiuse de la rezia rupe
Al flagellato da procelle ionie
Capo dell’Armi, come folgor sacra
Trapasserebbe illuminando, il carme!

II.

     Ma perchè là dove si leva il sole
Spunta a fior d’onda una funerea croce?
Forse è il voto che pose un battelliere
Per ricordanza d’affogato amico.
No; su quel lido, ove impaluda e requia
La famiglia dei rivoli dell’Alpe,