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I FUOCHI DELL’APPENNINO.


I.

     Via quelle bende di servil gramaglia
Che per pietà de la defunta patria
Da secoli portiam! Via quella plebe
Di nausëata gioventù! Venite,
Vispi fanciulli, amabili imprudenti,
A cui già ridon su la testa bionda
Il primo albor che rompe all’orïente
Nitido, e i rai dell’avvenir che spunta.
Qui festivi accorrete in man recando
Rame d’allor, rame di cedri tolte
Ai giardini dei Doria. In questa notte
Si festeggiò per le montagne un grido
Di Libertà, che dai Liguri offesi,
Un giorno a noi per cento anni remoto,
La sublime imprudenza, e lo scagliato
Ciottolo provocâr d’un giovinetto.
Inghirlandati de la nobil fronda,
Stringendo in pugno ciottoli votivi,
Qui venite, speranze itale; io canto.
Non l’aura bruna, che s’imperla e stilla
Vivificando il calice dei fiori