De la caduca signoria del mondo,
Inesorato giustizier. Ma intanto
Qui, tra i viventi, irrequïeto, e indarno
Desïoso del tuo bel San Giovanni
Limosinavi con offesa fronte
Pane ai castelli, pace ai monasteri.
Nè quando a’ dì supremi, in su la spiaggia
Adriaca, o pei sentier de la selvosa
Pineta malinconica, mutavi
I passi stanchi di chi muore in breve,
Oh non credevi mai che il poco avello
Là di Ravenna avria valso un intero
Cimiterio di Re. Qual alto seggio
T’abbia assegnato Dio ne le sue glorie,
Alighiero, non so. So che la tua
Italia ti locò nel più sublime.
So ch’ella sempre t’obbliò nei giorni
De la viltà: ma ai dì de la speranza
Legge il tuo libro; e ormai più non t’obblia.
VIII.
Non blandimento, ma flagello ai vacui
Itali sogni e all’ozio, eccovi l’arpa
Che vi composi con le illustri e sante
Reliquie del passato. Or qua venite,
Giovine e mesta pleiade di vati
Che il lungo buio de la nostra notte
Di speme consolate e d’armonie:
Qual tra voi di fiacchezza à immune il petto,
E più d’estri sfavilla, e più confida
Nel valor del suo canto, apra le piume