Con gli anèmoni sempre una ritorna
Settimana accorata per le chiese,
Che ancora dopo tanti anni il tuo verso
Piange dall’Alpi ai Calabri dirupi;
E maritato a le armonie gementi
Di Palestrina, suona per le mille
Cupole, e per gli altar come singhiozzo
D’un popolo che langue in agonia,
E muor dall’Alpi ai Calabri dirupi.
La fatidica corda or tu ne dona
Che pianse, è ver, ma profetò vendette
Liete pur anco, e l’ora del ritorno
Al Giordano natio. Così che il nostro
Inno di Roma impaziente ardisca
Vaticinar d’un popolo che in arme
Sorge dall’Alpi ai Calabri dirupi.
VII.
Ogni altra corda che ne manca sia
D’odio, d’amore, di terror, di calma,
Di magnanima bile o di pietade,
Solitario Alighiero, a te dimando.
Lo stilo, onde vergasti il tuo volume
Che assolve e danna uomini e tempi, a noi
Plettro sarà. Ma pria lascia che umíle
Ti riverisca con la mia canzone,
Però che tu mi affàscini, mi annulli
Ne la mia polve, e nondimeno io t’amo,
O terribile altezza. - Tra le furie
Che ruggían per le piazze cittadine,
E il scintillío de le fraterne spade