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accanto a roma. 105


VI.

     Nei dì secondi a Babilonia, al ciglio
D’un pomerio per freschi orti odoroso,
Grigio sorgeva un cumulo di pietre.
L’ebrea fanciulla che al vicino fonte,
Con l’anfora sul crin nero librata,
Traeva all’alba per attinger acqua,
Dal diritto sentier si disvïava
Per la paura di passarvi accanto.
Poi ch’ivi sotto, al par d’un assassino,
Si giacea con la infranta arpa sepolto
Un lapidato. O Geremia, quel Dio
Che ti conobbe assai pria che tu fossi
Ne le materne viscere concetto,
Disse a te pure un dì: «Dal vïolento
Settentrïone piomberà ruina
Su le tue valli, e lutto in sui viventi.»1
E tale or piomba, e tale ancora offende
L’italo Engaddi, l’italo Carmelo.
O nobile sospiro di Giudea,
Qual core avesti allor che ne le amare
Notti vegliate in servitù, piangevi
Col metro dell’afflitto inno caldeo
La vedovanza de la tua cittade?
E forse intorno a te turbe di calvi,
D’adolescenti laceri e di donne
Fremeano attente in pose di dolore,
E agli esuli una lagrima cadea
Trepida al lume di straniere stelle?

  1. Ier. C. I, 14.