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accanto a roma. 103

Il galoppo sentir di un palafreno
Che perpetuo il seguisse a ricondurlo
Ne la turpe Sant’Anna. A sè d’intorno
Vedea bizzarri Lèmuri che i canti,
Sudati indarno, gli rapían di mano
Sperdendoli pei solchi e per le fosse
Che limitavan la deserta. via.
E dubitò dell’anima. Gli parve
Sogno il suo genio e l’immortal poëma;
Sogno i Tancredi e le Clorinde, usciti
Da la sua Musa; e maledì Sorrento
Bella, e la vita, e Leonora, e il mondo;
E dubitò di Dio. Quando da lunge
Gli occorse un chiostro sul pendío d’un colle,
E anelando salì come a rifugio,
Come a la casa, ove una madre attenda.
Là vergognoso e stanco inginocchiossi
Sopra la soglia e domandò per Dio
La cortesia d’un solo ultimo pane,
Un guancial da posar la moribonda
Sua testa di poëta, e la suprema
Carità di un sepolcro. Ed ivi ancora
Dormono l’ossa di Torquato in pace.
E allor che da le celle escono i lenti
Padri, come li trae de le severe
Mense il desio, su le pareti bianche
Del cenacolo passa e si disegna
Nobil conviva la figura santa
D’un’ombra laureata a ringraziarli.
E allor che scendon taciti, di notte,
A la preghiera, lungo i tenebrosi
Intercolunnii mormorar si ascolta
Non so che pianti di Gerusalemme;